di Cristiano Vezzoni (Università degli Studi di Milano e Presidente ITANES – ITAlian National Election Study)
Questo è un articolo dell’Atlante elettorale della Società Italiana di Studi Elettorali (Sise) che – in collaborazione con Repubblica – offre ai lettori una serie di uscite settimanali in vista delle elezioni europee dell’8-9 giugno 2024.
Quali saranno le considerazioni nella testa degli elettori e delle elettrici italiane quando dovranno decidere cosa fare alle Elezioni Europee di giugno?
Ingenuamente, potremmo suggerire che penseranno all’Europa e al suo futuro. O anche ai temi che più stanno loro a cuore.
Se guardiamo l’elenco delle principali preoccupazioni degli italiani (fonte Ipsos, aprile 2024), vediamo che l’economia e il disagio sociale (disoccupazione, salute, inflazione, povertà e disuguaglianza sociale) sono in cima ai pensieri degli elettori. Questi temi, insieme a quelli relativi agli equilibri geopolitici, oggi tristemente sintetizzabili nella dicotomia pace-guerra, e alle principali crisi che viviamo o abbiamo vissuto (covid, crisi climatica, emergenza migratoria) meriterebbero sicuramente un chiaro inquadramento europeo da presentare ai cittadini in programmi alternativi, perché solo un continente unito e forte può far fronte a queste sfide.
Tuttavia è molto improbabile che questo avvenga, perché tutte le ricerche svolte dal 1979 in poi, anno della prima elezione del Parlamento Europeo, ci hanno insegnato che le elezioni europee vengono intese dagli elettori e interpretate dalle forze politiche come elezioni nazionali, dove però la posta in gioco è minore che nelle elezioni politiche perché in palio non c’è il governo del paese, ma solo qualche seggio a Bruxelles. Stiamo parlando della teoria del ciclo elettorale e delle elezioni di secondo ordine, proposta nel 1980 da due studiosi tedeschi, Hermann Schmitt e Karl Heinz Reif, alla luce dei risultati della prima elezione del Parlamento Europeo.
È evidente che, nella odierna campagna elettorale, nessuna delle forze politiche che si contendono i voti degli italiani ha fatto qualcosa per cambiare questa percezione. Anche di fronte ad una chiara dimensione sovranazionale ed europea delle principali questioni che investono il nostro paese, i temi sono stati trattati esclusivamente in salsa nostrana. Si è così fatto campagna lanciando messaggi selettivi su interessi strapaesani (si veda la discussione su condono edilizio, incentivi alle assunzioni, aborto, agricoltura). Ma ancor più si è orientato il dibattito in direzione di una contrapposizione tra partiti e leader nazionali, su due partite parallele. Una tra governo e opposizioni, l’altra tra partiti della maggioranza, trasformando le elezioni europee in un grande sondaggio con cui pesare le forze in campo.
Così, il presidente del consiglio, certo non con l’intenzione di muoversi da Roma a Bruxelles, è entrato col nome nel simbolo di Fratelli d’Italia, ha chiesto di votare “Giorgia” e di esprimere un giudizio sull’operato del suo governo. Similmente ha fatto la segretaria del principale partito di opposizione, Elly Schlein, che ha desistito dal mettere il suo nome nel simbolo, ma è capolista in alcune circoscrizioni, anche lei senza sincera intenzione di sedere nel prossimo Parlamento Europeo. Molti hanno deciso di proporre candidature col botto per raccogliere qualche manciata di voti in più; altri di mettere insieme diverse sigle sotto un’etichetta nobile, ma sospettosamente strumentale (Stati Uniti d’Europa).
Rimane almeno la consolazione che sia scomparso dal dibattito qualsiasi riferimento all’uscita dall’Unione Europea. Nessuno invita più all’Italexit o ad abbandonare l’Euro. Anche la destra ha cambiato la sua retorica. Non più fuori dall’Europa, ma in un’“altra” Europa, prefigurando nuovi equilibri politici nel Parlamento Europeo, dimenticandosi di proposito che le proiezioni basate su sondaggi svolti nei principali paesi europei suggeriscono che a Bruxelles non ci dovrebbero essere alternative credibili alla coalizione tra PPE e PSE, come ben mostrato nel primo articolo dell’Atlante Elettorale.
Così, davanti agli elettori si profila un teatro politico dove lo scontro è esclusivamente nazionale e i riferimenti ai temi, anche se con riferimenti all’Europa, servono solo da terreno su cui scontrarsi. Come risponderanno gli elettori ad una campagna elettorale così delineata? Certo, le loro decisioni avranno un impatto rilevante: leader e partiti si “peseranno” e avremo un segnale di quanto siano mutati gli equilibri tra le forze politiche in campo. Come ne usciranno i partiti di opposizione, in particolare il Pd che continua a dare segnali di salute precaria? E quale sarà l’esito della competizione tra partiti della maggioranza, in particolare tra Forza Italia e Lega, e nelle faide interne a quest’ultima?
Il timore è che ancora una volta la teoria del ciclo elettorale risulti corretta su una delle sue principali aspettative, quella di una riduzione della partecipazione elettorale. Di fronte ad un dibattito politico così tossico e autoreferenziale, il rischio è infatti che tanti elettori si risolvano a non presentarsi alle urne, facendo segnare al termometro della partecipazione elettorale un ulteriore segno rosso, indicatore della persistente e forse inarrestabile crisi di autorevolezza della politica italiana.