di Daniela Piccio (Università di Torino)

Questo è un articolo dell’Atlante elettorale della Società Italiana di Studi Elettorali (Sise) che – in collaborazione con Repubblica – offre ai lettori una serie di uscite settimanali in vista delle elezioni europee dell’8-9 giugno 2024.

 

Le elezioni per il Parlamento europeo rappresentano tipicamente un banco di prova per i partiti politici nazionali degli ora 27 Stati membri. I risultati di queste consultazioni permettono di misurare la tenuta dei partiti politici come forze di governo o di opposizione, la forza attrattiva dei leader di partito nonché l’efficacia delle loro campagne di comunicazione. Lo stesso non si può dire per i partiti politici europei, i cui meriti o demeriti tendono a rimanere sconosciuti alla maggioranza dei cittadini. Per come è strutturato il meccanismo di rappresentanza politica all’interno dell’Unione Europea, infatti, viene a mancare la possibilità di espressione di un voto retrospettivo rispetto all’azione di governo. Curiosamente l’Eurobarometro, lo strumento ufficiale delle istituzioni dell’Unione Europea che dal 1974 misura le opinioni dei cittadini dell’Unione su questioni politiche e sociali, non ha mai indagato in merito alla loro conoscenza dei partiti politici europei. Secondo i soli dati ufficiali al riguardo, che risalgono a una consultazione pubblica voluta dalla Commissione Europea nell’estate 2020 (e per la verità piuttosto poco partecipata: N= 338!), il 91% degli intervistati ritiene utile che le istituzioni europee si impegnino a dare maggiore visibilità agli Europartiti spiegando quale sia il loro ruolo e il 77% ritiene che i legami esistenti tra partiti politici nazionali ed europei dovrebbero essere meglio evidenziati. Alcune tra le iniziative recenti per promuovere la conoscenza dei partiti politici europei e la diffusione delle informazioni sui collegamenti tra partiti nazionali ed europei non hanno portato ai risultati desiderati. Non ha incontrato il parere favorevole del Consiglio la proposta del Parlamento europeo che prevedeva l’introduzione di una circoscrizione pan-europea e che avrebbe consentito ai cittadini dell’Unione di votare, oltre ai candidati nazionali, anche per una lista elettorale transnazionale nominata da un partito politico europeo. È stata inoltre perlopiù più disattesa, e non solo in Italia, la norma di modifica della legge elettorale europea che prevede che gli Stati membri consentano “l’apposizione, sulle schede elettorali, del nome o del logo del partito politico europeo al quale è affiliato il partito politico nazionale” ((Decisione (UE/Euratom) 2018/994 del Consiglio del 13 luglio 2018). Basta consultare i 42 contrassegni depositati il 22 aprile presso il Ministero dell’Interno per le elezioni al Parlamento europeo del 2024 per verificare come siano soltanto otto le liste che presentano indicazione del proprio collegamento con i partiti europei – due dei quali peraltro deregistrati dall’Autorità per i partiti politici europei per mancato soddisfacimento delle condizioni di iscrizione.

Eppure i partiti politici europei esistono. Sul piano istituzionale, sono frutto di un processo di lungo corso che li ha visti per la prima volta riconosciuti nel 1992 con il trattato di Maastricht come agenti di espressione della volontà politica dei cittadini dell’Unione. Solo dal 2003 sono stati disciplinati nella cornice normativa dell’Unione Europea come partiti dotati di uno status giuridico proprio e di un sistema di finanziamento pubblico derivante dal budget comunitario, e tenuti a iscriversi nell’apposito Registro dei Partiti Politici Europei e delle Fondazioni Politiche Europee. Gli Europartiti attualmente iscritti al Registro sono dieci ed esprimono un ampio spettro di posizioni politiche. L’estrema sinistra è rappresentata dal Partito della sinistra europea, di cui fanno parte per l’Italia Sinistra Italiana e Rifondazione Comunista. Le forze socialiste e social-democratiche progressiste, tra le quali il Partito Democratico, sono riunite nel Partito dei Socialisti Europeo. Il centro-destra moderato è rappresentato dal Partito Popolare Europeo cui aderisce, tra gli altri, Forza Italia, mentre la tradizione liberale è rappresentata dall’Alleanza dei Democratici e dei Liberali l’Europa, che per l’Italia vede coinvolti Azione e +Europa, e dal Partito Democratico Europeo cui aderisce Italia Viva. Due sono i partiti sovranisti di destra: il Partito dei Conservatori Europei e Riformisti (la cui Presidente è Giorgia Meloni) e Identità e Democrazia, partito fondato da Marine Le Pen cui afferiscono le principali forze politiche dell’estrema destra europea, per l’Italia la Lega. Sono inoltre presenti il Partito dei Verdi Europei, il Movimento Politico Cristiano Europeo e l’Alleanza Libera Europea, partito promotore di politiche regionaliste.

In concreto, si tratta di confederazioni extraparlamentari di partiti nazionali collegate ai gruppi parlamentari del Parlamento europeo. È anche grazie al legame con i gruppi politici nel Parlamento che gli Europartiti esercitano un’importante influenza sui processi decisionali all’interno del Parlamento. Svolgono inoltre funzioni di coordinamento sia con il Consiglio europeo, attraverso l’organizzazione di incontri con rappresentanti dei capi di Stato o di governo preliminari ai summit europei, sia con il Consiglio dell’Unione Europea e contribuiscono alla negoziazione per la selezione di figure chiave all’interno delle istituzioni europee, come la stessa presidenza della Commissione. In questo senso si può parlare degli Europartiti non solo come arene all’interno delle quali operano i partiti politici nazionali, ma anche come veri e propri attori che contribuiscono, seppur informalmente, a oliare gli ingranaggi della macchina istituzionale dell’Unione Europea. Si tratta tuttavia di un ruolo marginale all’interno dei complessi processi decisionali dell’Unione, il cui assetto istituzionale non consente che gli Europartiti operino, come invece avviene a livello nazionale, come intermediari tra i cittadini e il potere esecutivo. C’è chi si è interrogato su quanto questo sia davvero problematico e se un rafforzamento della capacità di azione degli Europartiti sia auspicabile a fronte della crisi di legittimità che investe i partiti politici in tutta Europa e delle derive populiste in atto. Resta infine da chiedersi quanto la marginalità degli Europartiti sia una condizione eccezionale o sintomatica: se rappresentano, cioè, un contesto anomalo di organizzazioni politiche sui generis, o sintomatico piuttosto di una irrilevanza istituzionale crescente delle organizzazioni di partito.

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