di Laura Polverari (Università di Padova)

Questo è un articolo dell’Atlante elettorale della Società Italiana di Studi Elettorali (Sise) che – in collaborazione con Repubblica – offre ai lettori una serie di uscite settimanali in vista delle elezioni europee dell’8-9 giugno 2024.

 

Il dibattito pre-elettorale in Italia continua ad essere concentrato su questioni interne, da un lato, e internazionali, dall’altro: dalle riforme costituzionali, agli scandali legati a importanti figure politiche sul piano domestico, alla situazione palestinese e a quella ucraina sul piano internazionale. Un dibattito sulla sostanza dell’Unione europea sembra mancare. Di riforma dei trattati e del bilancio dell’Ue, di come le politiche dell’Ue siano cambiate e potranno (o dovranno) ancora cambiare in un contesto di crisi permanente si parla poco. Analogamente, si parla poco degli scenari politici che potranno presentarsi dopo il voto di giugno alla luce delle differenti visioni sul futuro dell’Unione proposte dai partiti politici nazionali e dai corrispondenti gruppi politici europei.

Eppure, le scelte dei cittadini europei si preannunciano potenzialmente dirompenti. Se le previsioni di uno spostamento significativo verso la destra radicale dovessero realizzarsi, l’esito potrebbe essere quello di un ripensamento radicale delle scelte operate finora di politiche verdi e digitali, orientate alla competitività ma ispirate anche a principi di giustizia sociale. Le implicazioni del voto avranno un impatto significativo per l’Italia, dato l’importante ruolo di “vincolo esterno” che le decisioni prese a Bruxelles hanno tradizionalmente rappresentato per il nostro Paese, e considerati anche l’elevatissimo livello di debito pubblico e la scarsa propensione interna a realizzare riforme strutturali.

Attualmente il nostro Paese è il primo beneficiario, in termini sia assoluti che pro capite, del Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza ed è impegnato a portare avanti gli ambiziosi obiettivi del PNRR. Il PNRR finanzia investimenti ingenti e supporta riforme collegate alle raccomandazioni specifiche per paese del semestre europeo. Entrambi, investimenti e riforme, sono collegati ad obiettivi finali (target) e di processo (milestone) a cui sono legati i pagamenti dall’Ue al nostro Paese. Tuttavia, benché l’Italia sia tra i paesi che hanno presentato alla Commissione il maggior numero di richieste di pagamento – cinque, di cui quattro già approvate – molti obiettivi sono stati posticipati rispetto alle scadenze originali. Esiste il rischio concreto di una concentrazione di obiettivi – difficilmente raggiungibili – a ridosso della scadenza finale.

Altrettanto importante è la partita della politica di coesione, di cui il nostro Paese è stato e continua ad essere uno dei maggiori beneficiari, avendo ancora un elevato numero di regioni con un PIL pro capite inferiore al 75% della media Ue. Politica di coesione e PNRR avrebbero dovuto operare in sinergia mentre nella realtà il secondo ha spiazzato il primo, causando ritardi significativi nell’attuazione della politica di coesione. Un’eventuale performance deludente del nostro Paese in entrambe queste politiche rappresenterebbe non solo un fallimento a livello domestico, ma avrebbe anche ripercussioni sulle scelte che verranno prese a Bruxelles per il futuro dell’Unione.

Un’ulteriore sfida per l’Italia sarà rappresentata dalla riattivazione dei vincoli del Patto di Stabilità. La scintilla che durante la fase più acuta della pandemia aveva fatto prefigurare la possibilità di un cambio di paradigma sembra essersi definitivamente spenta. Tuttavia, un ritorno a politiche di austerità potrebbe essere letale per il nostro Paese. L’impatto non si limiterebbe alle aree meno sviluppate, per le quali non è chiaro se le previste soglie minime di spesa saranno effettivamente rispettate, ma riguarderebbe anche le aree più avanzate, che rischierebbero di rimanere “intrappolate” in una spirale di stagnazione, come anche recentemente evidenziato dall’ultima relazione sulla coesione della Commissione europea.

Il prossimo Parlamento e la nuova Commissione entreranno in carica in un momento cruciale del negoziato per il nuovo Quadro Finanziario Pluriennale (2028-2034) e di revisione degli obiettivi e del modus operandi delle politiche dell’Unione. Con un debito pubblico che, in assenza di correttivi, si appresta a diventare nel giro di pochi anni il più alto di tutta l’Ue, l’Italia è particolarmente esposta a tali scelte. La sfida sarà duplice: da un lato, continuare sulla strada di politiche verdi, digitali e sociali, orientate a una competitività presente e futura (politiche pensate, quindi, in un’ottica di foresight, su cui l’Unione ha investito in maniera considerevole negli ultimi anni); dall’altro, non disperdere le lezioni apprese durante la pandemia. Oltre alle sfide, infatti, la crisi pandemica ha portato a una serie di innovazioni che vanno dalla europeizzazione di ambiti chiave della sanità, alla rottura di vecchi paradigmi (come le politiche restrittive, che avevano dimostrato la propria fallacia), fino all’introduzione di un nuovo approccio nella definizione ed attuazione delle politiche Ue, caratterizzato da un atteggiamento più collaborativo tra Paesi europei ed istituzioni comunitarie, come Stella Ladi ed io illustriamo in un numero speciale della rivista Comparative European Politics di prossima uscita.

Nelle elezioni di giugno in gioco ci sono ben più degli slogan che stanno animando la campagna elettorale italiana. Sarà solo andando oltre gli slogan e oltre le dinamiche politiche domestiche che il voto potrà contribuire ad un’Europa più efficace nel garantire ai suoi cittadini e cittadine un futuro più prospero e sicuro.

 

 

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