di James Newell
All’indomani delle elezioni politiche tenutesi in Gran Bretagna giovedì 4 luglio, il paese pareva andare in netta controtendenza rispetto allo spostamento a destra delle altre democrazie occidentali, in particolare quelle che avevano recentemente votato a inizio giugno nelle elezioni Europee. In Francia, oltretutto, le elezioni dell’Assemblea Nazionale del 30 giugno avevano visto un drammatico aumento dei consensi per il Rassemblement National. Infine, l’elezione di Donald Trump alle prossime presidenziali statunitensi di novembre sembra essere sempre più una possibilità concreta.
In questo contesto, il Labour ha ottenuto una vittoria schiacciante, conquistando 412 dei 650 seggi della Camera dei Comuni e ottenendo una maggioranza complessiva di 176 seggi. Si tratta di una maggioranza laburista che era stata superata solo da quella di Tony Blair (179 seggi) nel 1997. Tuttavia, le apparenze possono ingannare e, per molti aspetti, il risultato principale ha mascherato un preoccupante spostamento a destra anche delle scelte dei britannici.
In primo luogo, occorre sottolineare come i laburisti debbano la loro massiccia maggioranza di seggi non a una crescita della propria popolarità, ma a un calo dei consensi per i conservatori (tabella 1), combinato con una decisa crescita dei consensi per il partito populista di Farage, Reform UK (in precedenza Partito della Brexit), nel contesto del sistema elettorale uninominale a maggioranza semplice. Questo, come è noto, assegna il seggio in ogni collegio al candidato che ottiene il maggior numero di voti, indipendentemente dalla percentuale che questo rappresenta.
In secondo luogo, come si vede in tabella 2, la quota di voti dei laburisti è aumentato, dalle ultime legislative del 2019, soltanto di poco più di un punto percentuale (dal 32.1% al 33,7%). Inoltre, grazie al calo dell’affluenza (passata dal 67,3% al minimo storico del 60,0%), in termini assoluti il partito ha ottenuto oltre mezzo milioni di voti in meno rispetto alla precedente competizione, quando la sua quota di seggi (31,1%) era stata una delle più basse di sempre.
Tabella 1. Risultati delle elezioni politiche nel Regno Unito nel 2019 e nel 2024
Nota: 649 seggi su 650 assegnati
Tabella 2 Differenza percentuale elezioni politiche UK tra 2019 e 2024
In terzo luogo, a livello di collegio, le vittorie dei laburisti siano giunte grazie ad una migliore performance dove nel 2019 si erano piazzati al secondo posto rispetto al candidato conservatore allora in carica, e lo stesso vale per i liberaldemocratici, la cui quota di voti complessiva è rimasta, anch’essa, pressoché invariata rispetto al passato.
In quarto luogo, nella maggioranza dei seggi persi dai conservatori, la percentuale ottenuta da Reform UK è stata superiore al margine di sconfitta del primo partito. Sebbene coloro che hanno votato Reform UK non avrebbero necessariamente sostenuto i conservatori in assenza di un candidato Reform, sembra che per la maggior parte abbiano votato conservatore nel 2019.[1]
Si è trattato quindi di un’elezione in cui i conservatori hanno perso consensi in più direzioni, ma certamente nella maggior parte dei casi verso Farage; ed è difficile capire come nell’immediato potranno risollevare le proprie sorti, visto che ora sono vulnerabili sia alla loro destra che alla loro sinistra. Da un lato, i quattro milioni di voti conquistati da Reform UK e la piattaforma parlamentare acquisita dal carismatico Nigel Farage e dai suoi colleghi, agiranno da traino verso destra, mentre dall’altro renderanno difficile proporsi come partito moderato potenzialmente attraente per chi si trova al centro dello spettro sinistra-destra.
Nel frattempo, i laburisti al governo dovranno probabilmente affrontare una serie di difficoltà, a seguito di una campagna elettorale che non è riuscita a entusiasmare, perché ampiamente considerata come la preparazione di una consultazione popolare il cui esito era scontato. Il partito ha da un lato aumentato le aspettative enfatizzando il tema del ‘cambiamento’ dopo quattordici anni di governo conservatore, mentre dall’altro lato ha offerto un programma che conteneva ben poco che potesse configurarsi come una netta distinzione rispetto ai conservatori.
Il fulcro del programma elettorale laburista era la promessa di raggiungere livelli più elevati di crescita economica che avrebbero permesso di evitare il cosiddetto ‘trilemma’: il ritorno all’austerità, l’aumento delle tasse e del debito crescente. In altre parole, esso sosteneva che sotto la sua guida non ci sarebbero stati tagli significativi alla spesa pubblica, che non ci sarebbero stati aumenti delle tasse ‘sui lavoratori’ (‘on working people’) e che si sarebbe riusciti a ridurre il livello del debito pubblico in proporzione al PIL entro la fine dellla legislatura. La promessa di non aumentare le tasse ‘sui lavoratori’ è stata oggetto di particolare scherno in alcuni ambienti,[2] perché sembrava implicare che non ci sarebbero stati aumenti di tasse di alcun tipo, considerando che non esistono tasse pagate esclusivamente dai disoccupati e dalle persone economicamente inattive. Tuttavia, quando il partito è stato incalzato su cosa avrebbe fatto di fronte alle sfide dell’invecchiamento della popolazione e delle esigenze del cambiamento climatico nel caso in cui la crescita non si fosse concretizzata, si è difeso evidenziando semplicemente come la domanda stessa fosse ‘disfattista’.
Il partito non è poi riuscito a sfidare lo ‘storytelling’ della destra su questioni come l’immigrazione, accettando essenzialmente l’inquadramento (framing) della questione come ‘problema’ (se non a dirittura come questione di pubblica sicurezza) da parte dei conservatori e di Reform UK, lasciandosi così, probabilmente, vulnerabile agli attacchi di questi partiti nel caso in cui l’immigrazione non dovesse in futuro diminuire in maniera significativa.
Infine, Keir Starmer viene descritto come un leader che manca di carisma e i cui indici di popolarità personale rimangono bassi anche perché è ampiamente percepito come privo di principi ben definiti. [3] Il carisma è importante nelle circostanze politiche dell’inizio del XXI secolo, quando gli elettori sono in gran parte privi di ancoraggi ideologici sicuri o di forti legami con i partiti. Senza di esso, diventa difficile mantenere gli elettori dalla propria parte quando le circostanze diventano sfavorevoli, tanto più che l’assenza di chiare ambizioni programmatiche rende più facile per gli avversari stabilire l’agenda politica, con il rischio che i nuovi arrivati si trovino costretti a ‘danzare sulle note altrui’.
Guardando al futuro, quindi, la preoccupazione è che il Labour abbia vinto per default, come dire ‘in mancanza d’altro’, e che la vera novità delle elezioni sia l’acquisizione da parte della destra populista, per la prima volta in UK, di una testa di ponte parlamentare rappresentata da Farage. Il tempo dirà fino a che punto il Labour sarà in grado di agire come un efficace baluardo contro la deriva a destra della politica britannica, ma per il momento i presagi non sono molto buoni.
(revisione italiana a cura di Paolo Natale)
[1] ‘Sir John Curtice: The dramatic Tory decline behind Labour’s landslide’, https://www.bbc.co.uk/news/articles /c2x0g8nkzmzo
[2] Come, per esempio, quello del Institute for Fiscal Studies. Si veda il suo webinar sui programmi dei partiti, disponibile all’indirizzo https://www .youtube.com/watch?v=WgvTIinF_xU
[3] Kiren Stacey, ‘Keir Starmer expected to make it to No 10 despite his low personal popularity’, The Guardian, 22 May 20204, https://www.theguardian.com/politics/article/2024/may/22/keir-starmer-expected-to-make-it-to-no-10-despite-his-low-personal-popularity