di Franca Roncarolo (Università degli Studi di Torino)
Questo è un articolo dell’Atlante elettorale della Società Italiana di Studi Elettorali (Sise) che – in collaborazione con Repubblica – offre ai lettori una serie di uscite settimanali in vista delle elezioni europee dell’8-9 giugno 2024.
Che di Europa, nelle campagne elettorali italiane per il Parlamento europeo, si parli troppo poco è un’evidenza difficile da negare, soprattutto in riferimento alla scarsa tematizzazione dei problemi più rilevanti all’interno di una cornice autenticamente comunitaria. Vi è tuttavia, accanto a questa evidenza, un altro elemento che merita di essere colto meglio perché rimanda a quello che potremmo chiamare il paradosso della normalizzazione, ossia al fatto che l’Europa sembra essersi così amalgamata nella politica nazionale da diventarne un ingrediente costitutivo, non sempre facilmente distinguibile.
Un modo per approfondire questo problema è considerarlo in una prospettiva di più lungo periodo. Lo abbiamo fatto, per cominciare, comparando l’attenzione riservata all’Europa nella campagna elettorale in corso e in quella del 2019. Se si considerano, ad esempio, i post pubblicati su Facebook dal Corriere della Sera, la Repubblica, Il Fatto quotidiano e Il Giornale si coglie un quadro di tendenziale stabilità, orientato però all’incremento del rilievo conferito alla dimensione europea.
A cinque anni di distanza dalle precedenti elezioni, dopo la lunga stagione delle contestazioni populiste, in un quadro agitato da due guerre di primo piano, e in un ecosistema comunicativo profondamente cambiato tanto nelle logiche quanto nelle piattaforme, la visibilità dell’Europa non solo tiene, come mostrano i dati di la Repubblica che conferma la sua attenzione sui temi europei, ma perlomeno in due quotidiani su quattro, comparativamente, cresce. Significativo, in particolare, è l’incremento della visibilità sul Corriere della Sera, mentre nel caso de Il Giornale il dato deve essere interpretato all’interno di un volume più basso di contenuti pubblicati. Rispetto al totale dei post con contenuti informativi (dalla cronaca alla politica, dallo spettacolo allo sport) pubblicati, la percentuale dei riferimenti dedicati all’Unione Europea (colta sia come istituzione comunitaria, sulla scorta del concetto di “europeizzazione verticale”, sia nelle diverse articolazioni nazionali cui rimanda l’idea di “europeizzazione orizzontale”) aumenta infatti di circa un punto percentuale e mezzo.
I dati relativi alla tenuta e al parziale incremento registrato nel volume di attenzione dedicato all’Unione Europea sono anche più significativi se si tiene conto del fatto che mentre la rilevazione del 2019 è ovviamente completa, quella del 2024 si ferma qui al 31 maggio, risultando inevitabilmente priva dei dati relativi all’ultima settimana di campagna elettorale, in cui di consueto l’interesse e la visibilità tendono a impennarsi.
Il dato non stupisce, se si considera quanto osservavano già vent’anni fa C. Marletti e J. Mouchon nel volume La costruzione mediatica dell’Europa. All’indomani di Maastricht, pur rilevando l’intreccio tra deficit politico e deficit informativo che affliggeva l’Europa, i curatori e gli autori di quel libro segnalavano, infatti, l’avvio di un’europeizzazione delle opinioni pubbliche alimentata dai processi, materiali e immateriali, di transnazionalizzazione. Emergeva così una tendenza operante nel profondo del discorso pubblico come una sorta di basso continuo crescente, qua e là impennato dai grandi eventi e dagli appuntamenti istituzionali, ma soprattutto dalle sempre più frequenti crisi condivise. Si trattava di un flusso che ha continuato a scorrere e che gli attori politici – europei e nazionali – hanno contribuito ad alimentare.
A quali leader si deve, oggi, la costruzione discorsiva dell’Europa? Per tutti, la dimensione comunitaria è un tema da richiamare periodicamente, nell’intento di segnalarne gli effetti – a seconda dei casi – giudicati perversi o virtuosi. Ma è interessante notare come, per alcuni, questa dimensione diventi un orizzonte che offre una risorsa identitaria e di competizione strategica. Certo, il contesto della dialettica nazionale resta prioritario per Giorgia Meloni (che nelle prime tre settimane di campagna elettorale all’Europa ha dedicato meno del 10% dei suoi post) così come per Elly Schlein (che da leader dell’opposizione le ha riservato il 17% dei propri interventi su Facebook). La salienza attribuita all’Europa si fa, tuttavia, maggiore per chi si trova in posizioni meno definite a seguito di dinamiche coalizionali e/o per congiuntura politica. In media un post su tre dei pochissimi pubblicati dall’attuale leader di Forza Italia, Tajani, e quasi il 35% dei non moltissimi postati da Giuseppe Conte fanno infatti riferimento all’Europa. Ma anche Salvini – che nel 2019, sull’onda del successo, richiamava l’Europa solo nel 10% dei casi – oggi lo fa in oltre il 18% dei messaggi che posta su Facebook.
Anche questo è un segnale del rilievo assunto dall’Europa.