di Ilvo Diamanti
Il voto del 25 settembre 2022, segnato dal successo della coalizione di centro-destra e, soprattutto, dei Fratelli d’Italia (FdI), guidati da Giorgia Meloni, costituisce l’ultimo cleavage (per citare il modello definito da Seymour Martin Lipset e Stein Rokkan nel 1967), cioè, l’ultima frattura nella storia elettorale del dopoguerra in Italia.
Nel corso della Prima Repubblica, fino agli anni ’80, il cleavage che aveva caratterizzato le elezioni, in Italia, coincideva con il muro di Berlino. Rifletteva, dunque, la divisione dell’Occidente dal blocco sovietico. La “frattura anticomunista”, infatti, ha imposto al governo la DC. Perché era impossibile condividere la guida del Paese con forze politiche che guardavano all’URSS in modo non apertamente ostile, se non con favore. Così, per decenni, il sistema politico italiano è stato marcato da un “bipartitismo imperfetto”, come lo ha definito Giorgio Galli (1996). Per sottolineare come le due forze politiche maggiori svolgessero ruoli pre-stabiliti. E obbligati. La DC – e i suoi alleati – al governo, il PCI – e i suoi eredi – all’opposizione.
Negli anni ’90, dopo la caduta del muro di Berlino e la dissoluzione della Prima Repubblica, Silvio Berlusconi ha (ri)costruito il muro di Arcore (dal nome della piccola città lombarda dove si trova la storica residenza di Berlusconi).
Assumendo la rappresentanza degli elettori anti-comunisti. Nel frattempo, gli eredi della DC e della sinistra si erano alleati, sotto i rami dell’Ulivo (albero simbolo della coalizione elettorale di centro-sinistra dal 1995 al 2004), su iniziativa, fra gli altri, di Romano Prodi e Arturo Parisi. Un’esperienza da cui prenderà ispirazione, successivamente, il Partito Democratico.
La continuità delle tradizioni politiche, però, si è riprodotta a lungo. Infatti, nel 2008 quasi tre quarti delle province, in Italia, mostrava un comportamento elettorale analogo, se non identico, rispetto al 1953 (Diamanti 2009). Orientato dalla medesima frattura. Anticomunista. Perché le scelte di voto erano ispirate da appartenenze e tradizioni radicate. Da cleavages consolidati. In particolare, fra Stato e Chiesa cattolica, inoltre, fra centro e periferia, fra imprenditori e operai.
Il PCI, in particolare, riassumeva il voto della classe operaia e delle componenti più laiche. Mentre la DC intercettava il consenso del mondo cattolico. Nelle aree dove la Chiesa generava comunità, attraverso il suo sistema associativo e di servizi. Un ruolo svolto dai partiti di sinistra e soprattutto dal PCI nelle zone dove aveva radici più profonde. Perché si trattava di “partiti di massa”, presenti e organizzati, sul territorio. Non per caso si sono riprodotti per tanto tempo.
E non per caso l’avvento di Berlusconi coincide con l’affermarsi di un nuovo “modello di partito”. Ispirato non da tradizioni ideologiche e storiche, ma dal leader. Perché Berlusconi accompagna e favorisce la “personalizzazione della politica”. Egli stesso fonda Forza Italia, un “partito personale”, come lo definisce Mario Calise (2010). Un modello riprodotto da altri – anzi tutti i – partiti. Anche quelli più “tradizionali”. Come il PD stesso, che, nel 2013, viene “personalizzato” da Matteo Renzi. E cambia, a sua volta, profondamente. Io stesso, al tempo, l’ho ri-definito, PDR: il Partito di Renzi. Protagonista di un’altra elezione di svolta. Di un altro cleavage. Nel 2014, quando, alle Europee, sfonda il muro del 40%. Nel frattempo, Silvio Berlusconi si era “dimesso”. Nel 2011. Travolto dallo Spread.
Tuttavia, la “personalizzazione” indebolisce l’identità dei partiti. Perché “il tempo delle persone” è più incerto e breve rispetto al “tempo dei partiti”. Che, non per caso, divengono più fragili e instabili. Così, a partire dal 2013, ogni elezione rischia di segnare una ulteriore “frattura”. Anche perché il sentimento dominante, “in politica”, non è più l’appartenenza. La “fede”. Ma la “sfiducia”. “L’antipolitica”. Un argomento che spiega l’affermazione degli “anti-partiti”. Partiti che alimentano il ri-sentimento. Due, in particolare. Il M5S, fondato e ispirato da un comico, Beppe Grillo. Un “Non-partito” (come si auto-definiva al suo ingresso in Parlamento nel 2013) che, guidato da Luigi Di Maio, vince le elezioni (di svolta) del 2018, superando il 32%. E forma il nuovo governo, insieme alla Lega di Salvini. Divenuta, a sua volta, anti-partito “nazionale”. Molto meno “legata” al territorio. Al Nord. Come la Lega delle origini. La Lega di Salvini – la Ligue Nationale per richiamare il suo legame con il lepenismo francese – seguendo il percorso anti-politico, l’anno seguente, 2019, otterrà alle elezioni Europee il 34,3%. Insieme, Lega e M5S daranno vita al governo giallo-verde. Che durerà poco più di un anno. Fino al 2019.
Il territorio, progressivamente, perde la sua capacità distintiva. I suoi colori. Le “zone bianche” erano già divenute prima “verdi” e quindi “verde-azzurre”, dopo la scomparsa della DC, rimpiazzata dalla Lega, con il sostegno di Forza Italia. Le “zone rosse”, invece, resistono maggiormente, ma si restringono. Perché regioni come l’Umbria e le Marche perdono il loro tradizionale colore. Mentre l’Emilia-Romagna e la Toscana divengono (più) contendibili. Nel complesso, l’Italia diventa “in-colore”. E perde continuità geopolitica.
Negli ultimi anni, inoltre, seguendo le logiche dell’anti-politica post-berlusconiana, abbiamo assistito al susseguirsi di crisi “fra” e “nei” partiti. Alimentate dai crescenti problemi economici e di bilancio che hanno reso l’Italia sempre più dipendente dalle autorità e dalle banche europee.
L’irruzione del Covid, infine, ha cambiato il clima d’opinione. Alla sfiducia è subentrata la “paura”. Che ha accentuato l’importanza del Capo e indebolito i partiti. Tanto più dopo che alla Presidenza del Consiglio è arrivato Mario Draghi. Su pressione delle autorità politiche e finanziarie europee. Lo stesso Mario Draghi, d’altra parte, era un dirigente pubblico, alla guida della Banca Nazionale ed Europea. Ma non un leader “eletto”. E il suo governo ha confermato la crisi della democrazia rappresentativa, in corso.
Lo stesso Giuseppe Conte, infatti, era un Premier “non eletto”. Che ha operato prevalentemente “per decreto”. Oltre-passando il Parlamento. Mario Draghi, a sua volta, ha accentuato l’immagine di una democrazia presidenzializzata. Oltre che tecnocratica. Perché si tratta, come si è detto, anche nel suo caso, di un leader non eletto. Di più: espresso dal mondo dell’economia e della finanza. Sostenuto da una maggioranza quasi totale. Di quasi tutti. “Quasi”, appunto. Perché all’opposizione c’era un solo partito. “Non per caso”, i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Che, “non per caso”, hanno vinto le elezioni dello scorso settembre. Primo partito, alla guida di una coalizione di centro-destra. E si tratta, davvero, di un altro cleavage. Perché, per la prima volta, si assiste all’affermazione dei FdI. Gli eredi del MSI prima e di An poi. E, per la prima volta, a presiedere il governo è una donna.
La “specialità” di queste elezioni è confermata e rafforzata da altre ragioni. Il cambiamento della mappa elettorale, anzitutto. Se facciamo riferimento alle coalizioni, oggi in Italia il colore dominante è il Blu del centro-destra, accentuato, a destra dai FdI. In questo scenario cromatico emergono alcune macchie di colore diverso. Pallidi riflessi del passato. Il Rosso pallido del centro-sinistra, in alcune province, 4, del Centro-Nord. Il Giallo del M5S, in 3 province del Mezzogiorno. Questa Mappa cromatica cambia sensibilmente se consideriamo non la “coalizione”, ma il “partito” più votato. Allora, il Giallo si allarga sensibilmente, nel Mezzogiorno. L’area dove è maggiormente diffuso il reddito di cittadinanza, promosso e sostenuto dal M5S. Mentre lo spazio Rosso, o meglio, “Rosso pallido”, del centro-sinistra, rimane circoscritto nel Centro. La zona un tempo definita “Rossa”, perché caratterizzata da una storica e radicata presenza dei partiti (e del voto) di sinistra.
È difficile non cogliere, in questi risultati, la conferma del cambiamento profondo non solo del comportamento elettorale, ma del loro fondamento sociale e territoriale. Riassunti dalle figure e dal ruolo dei leader. Personalizzati e presidenzializzati. Come per la Repubblica italiana, nella quale le figure più credibili e credute sono i Presidenti. Della Repubblica e del Consiglio. Siamo divenuti una “democrazia personalizzata”, nella quale la partecipazione politica è limitata. O meglio: “limitata ai media”. E soprattutto al digitale. Una “democrazia immediata”. Senza mediatori e senza mediazione (Diamanti 2014).
Così i cleavages sono divenuti la normalità. Già nell’analisi delle elezioni del 2013, condotta da LaPolis (Università di Urbino Carlo Bo) con l’Istituto di ricerca Demos, avevamo scelto, come titolo, un “Salto nel voto” (2013). Per sottolineare come non vi siano percorsi scritti e prevedibili, nelle scelte elettorali dei cittadini. Le elezioni successive, nel 2018-19, hanno confermato questo concetto. Dopo il voto dello scorso settembre, possiamo riproporre questa immagine. Ma in modo più “marcato”. Perché il “cleavage” è divenuto “normale”.
Un’ultima considerazione riguarda il “non voto”. Perché la vittoria dei FdI, in effetti, è stata resa possibile, meglio ancora, “enfatizzata”, dalla partecipazione elettorale. Ridotta al minimo. Perché alle elezioni dello scorso settembre ha votato meno dei 2 terzi degli elettori: il 63,8%. Un indice molto basso. Anzi: il più basso dal 1948. D’altra parte, nel 1976 aveva votato oltre il 93%. E, per restare più vicini a noi, nel 2018 quasi il 73%. Ciò significa che, in realtà, i FdI hanno vinto con il voto di circa il 16% degli aventi diritto. Ciò non ne mette in discussione il successo né la legittimazione democratica, ma rafforza l’idea che, da tempo, prevale un distacco dalla democrazia che si traduce nel “voto contro”. Oppure nel non voto. E, nel Paese dove “si vota contro” oppure “non si vota”, l’unico vero cleavage, in futuro, potrebbe essere solo la “continuità”. Del voto.
Prefazione al volume: Bordignon, Ceccarini, Newell (eds), Cambio di rotta. L’Italia al voto del 2022 – Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Bibliografia
Calise, M. (2010). Il partito personale. I due corpi del leader. Laterza editori
Diamanti, I. (2009). Mappe dell’Italia politica. Bianco, rosso, verde, azzurro… e tricolore. Il Mulino
Diamanti, I. (2014). Democrazia ibrida. Il Mulino
Diamanti, I., Bordignon, F. & Ceccarini, L. (2013). Un salto nel voto. Ritratto politico dell’Italia di oggi. Laterza editori
Galli, G. (1966). Il bipartitismo imperfetto: comunisti e democristiani in Italia. Il Mulino
Lipset, S.M., & Rokkan, S. (1967). Cleavage Structures, Party Systems and Voter Alignments: An Introduction. In S. M. Lipset & S. Rokkan (Eds.), Party Systems and Voter Alignments: Cross-National Perspectives (pp.1-64). Free Press
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